28 novembre 2006

Il mito degli impossibili

Perché centinaia, migliaia di persone decidono di adottare lo stesso pesudonimo, di condividere - non senza contrasti - la stessa reputazione, per firmare/rivendicare azioni politico-culturali, performances, scritti teorici e di narrativa e, in generale opere dell'ingegno?
A cosa si deve il successo del nome "gli impossibili" tanto sul World Wide Web quanto nel mondo reale, nelle strade delle città, nell'editoria su carta stampata, praticamente ovunque?
Da anni semiologi, antropologi, studiosi delle sottoculture giovanili e del loro rapporto con le tecnologie si interrogano su quali siano esattamente le caratteristiche di questa sfuggente comunità aperta...come puó definirsi comunità quella che sembra un incostante flusso di informazioni palesemente contraddittorie?
Da anni i giornalisti coniano strampalate definizioni, una meno calzante dell'altra:"pirati telematici","terroristi culturali","artisti radicali", ecc.
Da anni "gli impossibili" continuano a spiazzare gli osservatori e a mettere in crisi ogni definizione che non nasca direttamente dalla prassi di chi sceglie di adottare il nome.
Tra le tante caratteristiche del pensiero e dell'azione degli "impò", forse quella che piú lascia perplessi è la feroce, violenta critica al concetto di "Individuo", inteso come soggetto principe del diritto borghese ( "uomo egoista" lo definì Karl Marx).
In nome di che cosa questo concetto viene continuamente sbertucciato, vilipeso, cortocircuitato, spinto al paradosso?
In certe fasi del loro Progetto è sembrato che gli "impò" opponessero all'individualismo liberale un collettivismo da Rivoluzione Culturale, cementato dal culto di un inesistente Grande Timoniere; in altre è sembrato che la critica all in-dividuum fosse fatta esclusivamente in nome della -divisibilità del singolo, di un'apologia della schizofrenia e del desiderio sfrenato, con evidenti echi deleuzo-guattariani.
La verità è che non si possa comprendere il "comunitarismo" degli Impossibili senza partire dal concetto di "mitopoiesi", creazione di mito.
Tra il secolo XX e XXI un imprecisabile numero di cervelli senza neuroni, di artisti senza opere, attivisti post-politici, operatori di media-indipendenti, nauseati dalle obsolete tecniche e strategie di comunicazione ancora in auge presso un immobile "movimento" e una "scena" europea tanto poco vivace da ricordare il teatro da camera espressionista, decisero di darsi metaforicamente alla macchia, avvolgersi di leggenda, scommettere sul meraviglioso.
Non fu necessario riunire alcun comitato centrale: semplicemente, si decise di usare il potenziale dei nuovi media e il loro imminente impatto su quelli tradizionali, allo scopo di lanciare un nuovo "prodotto", una merce intangibile, immateriale: un mito di lotta comune a tutte le tribù e comunità di rivoltosi.
Tale mito deve inserirsi in uno scenario di sconvolgimenti epocali, definito dalle sempre piú frequenti ecocatastrofi, dalla tumultuosa fine dell'ordine mondiale bipolare, dall'emergere del cosidetto lavoro immateriale postfordista e dall'estendersi della Rete.
Mitopoiesi.
"costruzione del mito"
Essere fluidi come l'acqua ma all'occasione colpire duro come la tibia di un pugile Thai.

Nessun commento: